martedì 29 settembre 2009

giornata secca
di solitaria
immatura
tristezza in scatola.
la luce fioca
su una musica di lametta.
caldo irreale
per chi non lo vuole.
pensieri
raffreddati
singhiozzo
starnuto
anima malaticcia
da aspirina.
récherce
o scarto
di viti
allentate
precarie
posticce.
ermetica
svogliata
senza pensieri.
troppi frammenti
intorno.
luna storta
fuori e dentro,
nel cielo.
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come tanto bene
sai fare.

venerdì 25 settembre 2009

Atto Unico


Di nuovo, anche stasera: sola di fronte al computer, troppo asciutta per aver cose nuove da dire, come se avessi già parlato di tutto, in un banale venerdì in cui stanca e livida non riesco a decidermi ad uscire. Dieci anni fa scrivevo questo breve racconto, mi ricordo ancora di me seduta sul regionale per Venezia, con un libro di poesie di Rimbaud su cui ho scarabocchiato queste poche righe, ingenue, adolescenziali, feroci, mie.



Non gli pareva vero. Rappresentare se stesso, un lungo monologo, ciò che non era mai stato…Rappresentare sé diverso da sé, che idea! Che delizia! La monotonia della propria vita grigia e poi, tutt’a un tratto, l’ispirazione! La folla era l’unica salvezza; gli applausi e il delirio di una massa che lo avrebbe apprezzato proprio per ciò che non era: la finzione di emozioni mai provate per incapacità, l’enfasi di sentimenti ignoti per pigrizia. Non aspettava altro.

Che importava se i giorni prima non erano stati altro che una litania notturna d’orrori, e quelli futuri un guscio senz’ostrica, vuoti; quell’attimo solo sarebbe valso a riscattarli, in un unico, grande, glorioso momento di pace: la pace di chi, mentendo, non mira che a mentire, a sé per primo, trasformandosi così nell’essenza stessa della propria verità.
Avrebbe raccontato ad occhi e orecchie attenti ciò che mai aveva visto; li avrebbe commossi, e divertiti; avrebbe gridato, pianto e riso con loro, per loro, senz’altre comparse che la propria ombra nera sul palco inondato di luce.

Già s’immaginava quell’attimo in cui il riflettore lo avrebbe trafitto, in cui lui, opalescente, avrebbe mostrato quel cuore d’un altro che neppur sapeva di avere. Sarebbe stato un individuo, finalmente anche lui con una parte da recitare, come gli altri, come tutti; con qualcosa da dire, storie finte da raccontare: epica di visioni banali o grandiosi nulla scintillanti, poco importava. Che stessero tutti lì, inchiodati sulle sedie attenti ad osservarlo, era questo, sì, che contava! Sarebbe stato davvero un individuo, unico di fronte a quella massa nera d’occhi, a quel multiforme polipo, tumore di cui ora non era altro che cellula integrante.

Sentiva pulsare nelle tempie una voglia quasi ferina. Non era un emozione, ma solo un insondabile istinto: la primaria necessità di esistere che, scontrandosi col vuoto riluce come una cometa, per poi inabissarsi anonima e monocroma senza ricordarsi più di ciò ch’è stata.
L’ispirazione gli affluiva a tratti, una teiera di sakè fumante i cui soli effluvi bastino a produrre ebbrezza e torpore. E lentamente lui la respirava, felice che quel giorno tardasse ad arrivare, pregustando ancora un po’ il momento in cui, dopo una vita sarebbe nato e, forse, stato vivo.

E il tempo, seppur lento, inesorabilmente giunse: ormai si sentiva forte, con passo svelto e la testa alta, lo sguardo fisso avanti a sé, sicuro attraversò la soglia che lo conduceva al palco. Sospinto da una forza maestosa ed unica il sipario cremisi si aprì, senza errori o sbavature.

Lui non voleva, non poteva crederci...


Quel silenzio scrosciò allora più violento di un applauso, prodotto da un' inesistente platea di rosse poltrone vuote. E allora pianse, Solo, Amaro, Nessuno, nel suo teatro immenso d’ombra e di vertigine.

martedì 22 settembre 2009

Specchio 2001


Ritrovo un po' nostalgicamente alcuni vecchi scritti...Nel 2001 scrivevo così, l'ho chiamato "Specchio", e mi accorgo che poco ci cambiano gli anni, gli eventi, il tempo, le cose.


Dev’essere proprio triste insoddisfazione quell’eco che si fa sentire così insistentemente di notte e di giorno, a tutte le ore, con una puntualità prevista e comunque sconcertante; è un “periodo di magra”, fatico molto a esprimermi: quando sto così condenso tutto, e anche sulla tastiera mi muovo a piccoli passi, a scatti. Gocce intense appese malamente ad una gruccia, restano lì e mi osservano come farebbe un vecchio cappotto dalla lunga storia…novellina, direbbe, che presunzione questo non sorridere mai, che infruttuosa questa circolare ricerca, che banale questa eterna voglia di fuggire. Lasciati indossare.

Sono fatta di troppe parti, persa in un labirinto di petali d’odore monocromo e fintamente consolatorio, a soppesare le lievi entità dell’esserci senza saper dove, senza uscita, un senso che somiglia da vicino a un giardino in piena sfioritura.
Lo specchio degli inganni, lo ha chiamato Mishima.
Inganno del non ritrovare ciò che si vuole, di non saper seguire quello che pare essere un fiume più pulito e più supremo, una spiritualità di ampia portata, di una tensione trascendente che sento mia man mano che i giorni si fanno solitari, gli obiettivi sfocati, le istantanee sovraesposte…e che non sento in alcuna quotidianità possibile.

Immagini montate ieri a far scoop mi hanno chiamata e risucchiata nel tubo catodico, mi hanno tolto il sonno e acceso scintille negli occhi, e baluginanti e dolorose due lacrime rigide sono scese a dir tutto: non c’è senso in questa società degli uomini, non c’è redenzione, né uscita programmabile. Non serve il grandangolo per guardare negli occhi lo specchio, per riflettere l’inganno perpetrato dal moto stesso del vivere, e mi chiamo responsabile, complice, vittima.

Cerco un posto per me, chi mi ricordi per un gesto gratis e mi sorrida con lo sguardo triste senza in fondo credermi: esiste un sentiero così?


Yukio Mishima, Lo specchio degli inganni:

Momento ineffabile quello in cui un’immagine emerge insensibilmente dalla sfera del sogno per entrare in quella della vita quotidiana. Astrazione divenuta realtà, poema che acquisisce concretezza fisica, oggetto tangibile attinto all’immaginario. Se un quid privo di senso, ancorché inquietante, in virtù di un processo purchessia è assimilato al cuore, nasce nel nostro intimo il desiderio di vederlo prender forma, onde questa entità viene chiamata vita.

Foto: da internet, Mishima che ricorda tanto la copertina di "Storie di Ordinaria Follia". Forse proprio di questo stiamo parlando, e Bukowski, così diverso, urla in fondo le stesse cose, lo stesso delirio del mondo, la pochezza di noi poveri umani.



sabato 12 settembre 2009

Aurora Boreale

Ennesima giornata anonima, ma almeno ho recuperato qualche ora di sonno mattutina, in una breve ma necessaria mini-convalescenza da sabato pomeriggio. Comincia a farsi sentire una tale stanchezza di tutto, una gran "noia di vivere", come dice Battiato, che nemmeno questo settembre caldo e ventilato riesce a lenire.
A parte qualche uscita in compagnia, le giornate sono sempre quelle, scandite da lavoro e casa in un'altalena che si muove veloce ma con le corde allentate, pericolosa.
Oggi però ho visto i tetti dal balcone di Vanessa, e insieme abbiamo guardato le nuvole e giocato con Ale e i suoi pentolini di plastica riempiti di sabbia, che si trasformava magicamente ora in gelato al cioccolato, ora in minestrone per il tavolo quattro.
Lo scorso weekend sono stata bene, a parlare con Sara in treno e tra le calli di Venezia, e poi con Silvia, Morgan e Fabio in una nostalgica rimpatriata padovana, tra spritz e tachiflu dec; sono riuscita anche ad ammalarmi, e a guarire per forza di cose a far fronte al tanto lavoro, al poco tempo per me, ai troppi pensieri che mi popolano e stancano più di tutto.
Ogni giorno sogno per qualche minuto il Dove vorrei essere, il Lontano da qui ed Ora: il più gettonato per adesso pare essere il Messico, probabilmente per quell'idea di libertà e trasgressione letteraria che porta con sé, sicuramente poco vicina alla realtà locale e troppo influenzata dai libri, dai beat, dal cinema; oggi però pensavo che vorrei stare sul postale norvegese, tra il freddo, i fiordi e le casette rosa, a salire piano fino all'aurora boreale, e a provare il "giorno di notte" che non riesco proprio a immaginare.