domenica 9 gennaio 2011

Indocina











Resta poco dell'antico colonialismo francese oltre ai fatiscenti e meravigliosi palazzi del quartiere vecchio di Hanoi, col suo brulicare intenso di sccoter, mercati, botteghe, un andirivieni di gente che si fa onda cinetica di suoni, odori e tinte ocra e rosse; dei cinesi invece si vedono tracce profonde nel cibo, nei volti, in antichi edifici restaurati o ricostruiti. La guerra, al contrario, ha lasciato solchi ben più chiari e recenti nell'anima e nel corpo della gente, povera ma sorridente, gentile, ostinata e caparbia come i suoi bufali d'acqua.




Un'Asia dimenticata, il Vietnam: si vedono ancora le risaie e i cappelli di paglia, le capanne di bambù, le onnipresenti barche di un popolo che vive sull'acqua lungo lo stisciare melmoso dei suoi fiumi caffelatte, tra i sacchetti di plastica di quest'era e gli aratri di legno di un'altra, qui ormai perduta: sarebbe come descrivere ciò che si vede in un caleidoscopio, a voler parlare di ciò che è oggi l'Indocina...una volta focalizzato il colore, si è già passati all'immagine successiva, senza aver tempo di trovare le parole per dire né una, né l'altra.




Un popolo giovanissimo, fatto di figli e non di padri, tenace e fresco, occupato in mille traffici quotidiani sotto l'occhio vigile e un po' pacchiano di mille Ho Chi Min per turisti.




Quindici giorni in viaggio, zaino in spalla, staccando completamente la testa e immergendo il cuore in un'altra vita, in un mondo lontano. Ed ora di nuovo nella nebbiosa Padania, umida e fredda, coi gatti che si abbracciano sul divano e un anno asimmetrico, 2011, che inizia senza neve.