domenica 24 febbraio 2008

Astrakan


Due post al mese, mi sembra di essermi ormai assestata su questa magra media. Come dicevo prima mancano eventi, vivere qui mi fa raccontare piccole cose a cui tutti sono abituati, nulla di interessante o esotico per chi si prende la briga di leggere, insomma; e' il febbraio di un anno bisestile, e si e' lasciato dietro il sessantesimo compleanno di mia madre, passato in un bellissimo ristorante sulle colline, il carnevale, che non ho neanche visto, il ritorno di Silvia, che non ho ancora avuto tempo di andare a trovare, insieme alle solite belle ma rare serate in compagnia: le giornate passano a Milano, tra le brutture e i colli di pelliccia di tutti quelli che si definiscono persone "per bene", che non si accorgono nemmeno dell'orrore che si cuciono sul cappuccio del loro bel parka made in China. Li guardo e non riesco a capire, il mondo gira storto e nessuno pare farci caso. Io mi vergogno profondamente della miseria della condizione in cui purtroppo al momento versiamo tutti, dai violini scordati di rumeni senza casa ne' identita' sui metro ai venditori di rose del Bangladesh, agli studenti e ai pendolari con lo zaino, stravolti dopo una giornata come mille altre, e poi la donna delle pulizie dell'autostazione di Pavia che si trascina dietro il secchio del mocio ogni sera, facendo rumore e osservando noi come se ci vedesse per la prima volta, come ombre senza faccia in un buio nebbioso e freddo, col termostato che segna +11 e l'aria fredda che lo smentisce. E tutti, dico tutti, hanno un cane, un gatto o un visone addosso, o lo sognano come fosse una corazza indispensabile, manco fossimo in Antartide: li vedo e sento una mano che mi stringe la gola, un profondo disgusto di dover mio malgrado far parte di tanto bieco squallore. E' da un po' che voglio scrivere questo post, e poi la stanchezza prende il sopravvento e la sera faccio anch'io come gli altri, spengo il cervello o lo metto in stand-by, e a mettermi al computer proprio non ce la faccio. E allora quando trovo il tempo escono pensieri forti, li vomito fuori proprio perche' sono stati troppo tempo li', a covare e rimuginare: in questo momento rivedo una ragazza giovane con un bel cappottino di Astrakan (agnello da pelliccia che viene estratto vivo dal ventre della madre gravida)...la conosco, molti anni fa abbiamo pure fatto una vacanza insieme. Passa col suo passeggino, dentro c'e' suo figlio: mi cammina accanto senza vedermi, come quasi tutti quelli che conoscevo prima di andarmene da qui, e che nemmeno sanno piu' chi sono (e allora perche' io mi ricordo della loro faccia?), e io penso all'altro figlio, all'agnello; mi chiedo come, perche', da dove e verso dove si muova questo delirio di onnipotenza, questa oscena indifferenza dei cosiddetti "umani".
L'immagine: dalla serie Adolf and his dog, di Lorenzo Tomasi, ex-collega, amico, artista e soprattutto al momento con le chiappe in Thailandia. Si initola "Adolf pret-a-porter". It says it all. Grande Loto!

sabato 2 febbraio 2008

Catena minimalista



Sono le due di notte della prima domenica di febbraio. Non chiedetemi dove sia finito gennaio, perche' davvero non saprei dirlo.
Stasera io e Vanessa siamo andate al cinema, a vedere uno di quei film talmente adolescenziali da ricordarci di cim'eravamo negli anni ottanta, e siccome ci sentivamo "in tema", siamo tornate a casa ascoltando "Run to you" alla radio, canticchiando ferme al semaforo rosso. Purtroppo nemmeno il bellissimo per acclamazione (e qui chi ha studiato in Dilit o usa Volare sa benissimo di chi sto parlando) valeva i soldi del biglietto; a mia discolpa va detto che il film non l'ho scelto io, e meno male...ma e' bello ritrovarsi a guidare e a chiacchierare, tornare a casa e accarezzare il gatto che si rotola e ronfa come se non mi vedesse da un anno, poter accedere seppur con qualche difficolta' ad internet grazie ad una magica anche se zoppicante chiavetta-modem, leggere le e-mail e scoprire che Raphaele si sposa a guigno e ci ha invitati in Francia per una sorta di reunion con la Ningbo-crowd, una piccola serie di cose semplici che riempiono la giornata.
Carlo e' stato qui ieri notte, Maggie lo scorso martedi', e ci ha portato una notevole scorta di medicine per il micio, insieme a dolcetti taiwanesi ed a tutti i ricordi di Taipei; nel fine settimana siamo stati a Castiglione delle Stiviere, da Giovanni rientrato definitvamente da Taiwan, e abbiamo incontrato anche altri amici, pranzato in un ristorante bellissimo e visto un tramonto intenso e irreale sul Garda, a Sirmione e Desenzano, coi suoi bambini che si mangiavano felici il gelato nonostante i cinque gradi e il vento che soffiava freddo freddo dal lago.
Mi chiedono tutti come sto, com'e' viaggiare tra Broni e Milano, ritrovarsi a casa dopo tanto tempo, e mi accorgo che sto cominciano a ricarburare, ad annusare l'aria di casa senza sentirla strana, a rispondere alle telefonate degli amici come fosse una cosa normale, invece che un evento da segnare in rosso sull'agendina. Certo ci si chiede quanto possa durare, ma nel frattempo quando non mi mangio le unghie pensando con insistenza a un domani di cui non riesco ad immaginare la tinta (anzi, l'unghia in effetti, solo una, che incerotto senza grandi risultati per trovare rimedio alla forma di Grand-Canyon che ha ormai assunto), mi godo ogni attimo ed ogni piu' insignificante dettaglio del tempo che passa: la luce che cambia sulla strada, le facce di chi conosco e invece non mi riconosce, le scritte sui pilastri dell'autostazione, che conosco a memoria e mi fanno sorridere, i rumori e le facce di tutto cio' che mi ruota attorno, le storie degli altri, che si incrociano alla mia da anni o semplicemente la sfiorano in infinitesimali milionesimi d'ossigeno di quell'aria che tutti inspiriamo ed espiriamo sotto lo stesso cielo globale.

Le foto: luce onirica del tramonto sul lago di Garda, e io e Julian nella bella casa di Giovanni a Castiglione, tra soffitti affrescati, vecchi sifoni con scaldavivande, giocattoli e videogame.