Ritrovo un po' nostalgicamente alcuni vecchi scritti...Nel 2001 scrivevo così, l'ho chiamato "Specchio", e mi accorgo che poco ci cambiano gli anni, gli eventi, il tempo, le cose.
Dev’essere proprio triste insoddisfazione quell’eco che si fa sentire così insistentemente di notte e di giorno, a tutte le ore, con una puntualità prevista e comunque sconcertante; è un “periodo di magra”, fatico molto a esprimermi: quando sto così condenso tutto, e anche sulla tastiera mi muovo a piccoli passi, a scatti. Gocce intense appese malamente ad una gruccia, restano lì e mi osservano come farebbe un vecchio cappotto dalla lunga storia…novellina, direbbe, che presunzione questo non sorridere mai, che infruttuosa questa circolare ricerca, che banale questa eterna voglia di fuggire. Lasciati indossare.
Sono fatta di troppe parti, persa in un labirinto di petali d’odore monocromo e fintamente consolatorio, a soppesare le lievi entità dell’esserci senza saper dove, senza uscita, un senso che somiglia da vicino a un giardino in piena sfioritura.
Lo specchio degli inganni, lo ha chiamato Mishima.
Inganno del non ritrovare ciò che si vuole, di non saper seguire quello che pare essere un fiume più pulito e più supremo, una spiritualità di ampia portata, di una tensione trascendente che sento mia man mano che i giorni si fanno solitari, gli obiettivi sfocati, le istantanee sovraesposte…e che non sento in alcuna quotidianità possibile.
Immagini montate ieri a far scoop mi hanno chiamata e risucchiata nel tubo catodico, mi hanno tolto il sonno e acceso scintille negli occhi, e baluginanti e dolorose due lacrime rigide sono scese a dir tutto: non c’è senso in questa società degli uomini, non c’è redenzione, né uscita programmabile. Non serve il grandangolo per guardare negli occhi lo specchio, per riflettere l’inganno perpetrato dal moto stesso del vivere, e mi chiamo responsabile, complice, vittima.
Cerco un posto per me, chi mi ricordi per un gesto gratis e mi sorrida con lo sguardo triste senza in fondo credermi: esiste un sentiero così?
Yukio Mishima, Lo specchio degli inganni:
Momento ineffabile quello in cui un’immagine emerge insensibilmente dalla sfera del sogno per entrare in quella della vita quotidiana. Astrazione divenuta realtà, poema che acquisisce concretezza fisica, oggetto tangibile attinto all’immaginario. Se un quid privo di senso, ancorché inquietante, in virtù di un processo purchessia è assimilato al cuore, nasce nel nostro intimo il desiderio di vederlo prender forma, onde questa entità viene chiamata vita.
Sono fatta di troppe parti, persa in un labirinto di petali d’odore monocromo e fintamente consolatorio, a soppesare le lievi entità dell’esserci senza saper dove, senza uscita, un senso che somiglia da vicino a un giardino in piena sfioritura.
Lo specchio degli inganni, lo ha chiamato Mishima.
Inganno del non ritrovare ciò che si vuole, di non saper seguire quello che pare essere un fiume più pulito e più supremo, una spiritualità di ampia portata, di una tensione trascendente che sento mia man mano che i giorni si fanno solitari, gli obiettivi sfocati, le istantanee sovraesposte…e che non sento in alcuna quotidianità possibile.
Immagini montate ieri a far scoop mi hanno chiamata e risucchiata nel tubo catodico, mi hanno tolto il sonno e acceso scintille negli occhi, e baluginanti e dolorose due lacrime rigide sono scese a dir tutto: non c’è senso in questa società degli uomini, non c’è redenzione, né uscita programmabile. Non serve il grandangolo per guardare negli occhi lo specchio, per riflettere l’inganno perpetrato dal moto stesso del vivere, e mi chiamo responsabile, complice, vittima.
Cerco un posto per me, chi mi ricordi per un gesto gratis e mi sorrida con lo sguardo triste senza in fondo credermi: esiste un sentiero così?
Yukio Mishima, Lo specchio degli inganni:
Momento ineffabile quello in cui un’immagine emerge insensibilmente dalla sfera del sogno per entrare in quella della vita quotidiana. Astrazione divenuta realtà, poema che acquisisce concretezza fisica, oggetto tangibile attinto all’immaginario. Se un quid privo di senso, ancorché inquietante, in virtù di un processo purchessia è assimilato al cuore, nasce nel nostro intimo il desiderio di vederlo prender forma, onde questa entità viene chiamata vita.
Foto: da internet, Mishima che ricorda tanto la copertina di "Storie di Ordinaria Follia". Forse proprio di questo stiamo parlando, e Bukowski, così diverso, urla in fondo le stesse cose, lo stesso delirio del mondo, la pochezza di noi poveri umani.
Nessun commento:
Posta un commento