Cielo di cristallo oggi, gli aloni grigi che risaltano sui vetri di casa, a separarmi dalle foglie che si muovono e dagli ultimi caparbi insetti che, invece di ronzare, cozzano contro le trasparenze e si chiedono come mai l'aria finisca proprio lì, all'improvviso, senza rassegnarsi.
Interessante, in fondo: capita anche a noi umani di prendere a testate il nulla, o magari di avere la fortuna di schivarlo proprio all'ultimo momento con un fortuito zigzag. O di finire in una pozzanghera che proprio non avevamo visto, nonostante fosse scura e densa e proprio sotto il nostro naso...Penso a Daniza col suo passo lento e il suo ruggito braccato ogni volta che in auto attraverso il Trentino per tornare qui, ho finito lacrime e indignazione e resta solo uno sconcerto sordo che mi rumina dentro, un fragore nello stomaco che ha deciso di restare lì, senza trasformarsi in grido.
Trentanove.
Un numero come tanti. Che però accomuna i volti e le storie che hanno popolato la serata di sabato. Fisionomie familiari, belle da ritrovare e riconoscere al primo sguardo, com'erano sono rimaste. Per una sera si può camminare leggeri, scordarsi le magagne del mondo, il nostro volo in cerchio fino a sbattere la faccia contro un qualche ostacolo invisibile, l'anestetico sovradosato ad arte.
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