Lunedì sera. Il blog. Lo apro e ritrovo un'estate passata senza post, un autunno di nebbia, i primi freddi, tutto rigorosamente senza parole.
Minorca e la sua pioggia d'agosto a rovinar le vacanze. I gatti che crescono e si rompono zampe a cader dal balcone, condenso, esprimo, seccamente solo subordinate e nessuna principale, così è la vita in fondo...corso di tedesco a riempire il sabato, progetti a distanza rimandati per il poco tempo, la Cambogia di dicembre che aspetta me e Cri tra milllantati scioperi, la magia di Angkor che si avvicina, una lampada di Kitty coi suoi colori magici a far da contorno a un compleanno Marreel nel bianco, un libro intenso di Uwe Timm su come possa essere platonica e piena di coraggio una donna d'altri albori, un'isobara...
Nuovi impegni al lavoro, nuove pagine da scrivere ma solo in testa, le mani sulla tastiera solo in Skype, la sera. Il sonno che cuoce, la terapia di una sbronza di Vale N., il Ponte della Becca ancora chiuso a noi quattro stronzi.
lunedì 5 dicembre 2011
domenica 19 giugno 2011
Cocci e punti
Una mosca, e Micia che trilla e la rincorre speranzosa. Prima o poi la prenderà, sacrificando le preziose ore di sonno pomeridiano. Già me la vedo, stasera, con gli occhi a mezzaluna e il sonno di gatto piccolo, stanco, accaldato, coccoloso e col respiro sottile.
Mi accorgo di mancare dal blog, e mi ritovo come sempre, di domenica, a meditare sui cocci della giornata, che si ammonticchiano su quelli di tutte le altre. La solita domenica insomma, che passa tra sole, foglie e incombenze rimandate; la solita estate, un ricordo montaliano di un muro e dei suoi vetri, messi lì solo a ferire ignari e stupidi piccioni...come quelli che tubano e svolazzano qui di fronte, e che per fortuna disertano il mio terrazzo senza vasi né piante, con le ringhiere abbrustolite.
Ci sono tanti piccoli eventi, certo di scarso interesse per chi legge: un pranzo a Caprile alla fine di maggio, una gita con Cri in un Trentino verdissimo, tra cervi e ruscelli a manovella, l'inaspettato che giunge dalla vita degli altri, con nuovi bimbi in arrivo nel sole di agosto...e poi la quotidianità dei tanti impegni che costringono a concentrarsi senza sfarfallare altrove, i soliti orari assurdi che permettono di viver poco o nulla al di fuori della giornata di lavoro, la costante, perenne dieta contro il solito maledetto fungo. Quanto ho imparato in questi mesi: si pensa di essere, talvolta, tristi, perché qualcosa in noi non va, perché siamo fatti strani e mai contenti, e invece si scava un po' e salta fuori che un organismo alberga in noi e a tratti ci sovrasta, ci prende tutto, modifica il concetto che abbiamo di noi stessi amplificando e ingigantendo rovinosamente ogni più piccola paranoia. Già il fatto di saperlo, ora, mi permette di viverlo diversamente, di combattere con qualche arma in più, pur con lo stress crescente di un piccolo male che non passa, e che forse poi tanto piccolo non è...combattivi, certo, ma poi uno si guarda allo specchio e si vede invecchiato, ogni giorno un po' diverso, a volte sembra che ogni manciata di secondi che ci gettiamo alle spalle segni la sua piccola linea negli incavi di chi siamo, con quella assurda paura come di aver scordato una cosa importantissima, di essersi persi un punto saliente, di aver calcolato tempi e modi approssimativamente. Immagino che sia di tutti questa emozione, questo senso del tempo che passa, la paura di esserci troppo poco, per se stessi e per chi ci accompagna: non credo ci si possa far molto, a meno che non si inizi a sperare in una massiccia semplificazione dell'anima.
Venerdì volo a Belgrado, io e mia madre faccimao una cosa insieme dopo tanto tempo: una festa in puro stile balcanico, un matrimonio coi vetri rotti (ancora cocci) sul pavimento e le fisarmoniche, e alla fine di luglio dieci giorni di mare con Cri, tra calette e baie, a zonzo in auto tra i villaggi di Minorca. Serve staccare la spina, anche solo per poco. Collegarsi ad un'altra rete. Vivere, in un altro punto del globo, un altro minuscolo punto di vita, uno dei tanti, tantissimi possibili, a scontrarsi coi mille noi che li osservano.
Mi accorgo di mancare dal blog, e mi ritovo come sempre, di domenica, a meditare sui cocci della giornata, che si ammonticchiano su quelli di tutte le altre. La solita domenica insomma, che passa tra sole, foglie e incombenze rimandate; la solita estate, un ricordo montaliano di un muro e dei suoi vetri, messi lì solo a ferire ignari e stupidi piccioni...come quelli che tubano e svolazzano qui di fronte, e che per fortuna disertano il mio terrazzo senza vasi né piante, con le ringhiere abbrustolite.
Ci sono tanti piccoli eventi, certo di scarso interesse per chi legge: un pranzo a Caprile alla fine di maggio, una gita con Cri in un Trentino verdissimo, tra cervi e ruscelli a manovella, l'inaspettato che giunge dalla vita degli altri, con nuovi bimbi in arrivo nel sole di agosto...e poi la quotidianità dei tanti impegni che costringono a concentrarsi senza sfarfallare altrove, i soliti orari assurdi che permettono di viver poco o nulla al di fuori della giornata di lavoro, la costante, perenne dieta contro il solito maledetto fungo. Quanto ho imparato in questi mesi: si pensa di essere, talvolta, tristi, perché qualcosa in noi non va, perché siamo fatti strani e mai contenti, e invece si scava un po' e salta fuori che un organismo alberga in noi e a tratti ci sovrasta, ci prende tutto, modifica il concetto che abbiamo di noi stessi amplificando e ingigantendo rovinosamente ogni più piccola paranoia. Già il fatto di saperlo, ora, mi permette di viverlo diversamente, di combattere con qualche arma in più, pur con lo stress crescente di un piccolo male che non passa, e che forse poi tanto piccolo non è...combattivi, certo, ma poi uno si guarda allo specchio e si vede invecchiato, ogni giorno un po' diverso, a volte sembra che ogni manciata di secondi che ci gettiamo alle spalle segni la sua piccola linea negli incavi di chi siamo, con quella assurda paura come di aver scordato una cosa importantissima, di essersi persi un punto saliente, di aver calcolato tempi e modi approssimativamente. Immagino che sia di tutti questa emozione, questo senso del tempo che passa, la paura di esserci troppo poco, per se stessi e per chi ci accompagna: non credo ci si possa far molto, a meno che non si inizi a sperare in una massiccia semplificazione dell'anima.
Venerdì volo a Belgrado, io e mia madre faccimao una cosa insieme dopo tanto tempo: una festa in puro stile balcanico, un matrimonio coi vetri rotti (ancora cocci) sul pavimento e le fisarmoniche, e alla fine di luglio dieci giorni di mare con Cri, tra calette e baie, a zonzo in auto tra i villaggi di Minorca. Serve staccare la spina, anche solo per poco. Collegarsi ad un'altra rete. Vivere, in un altro punto del globo, un altro minuscolo punto di vita, uno dei tanti, tantissimi possibili, a scontrarsi coi mille noi che li osservano.
domenica 24 aprile 2011
Sorpresa...
Ines Rosa Marreel, nuovo acquisto del team Marreel-Maggi. Non so, non riesco a pensare cosa significhi affacciarsi alla vita ora, nel 2011. Mi accontento di osservarla, insieme al sorriso di Sofia.
Io mi crogiolo intanto in questi tre giorni di nulla, intensi di ozio e sole e gatti dormienti e lamentosi; risorgerò, forse, martedì mattina.
domenica 17 aprile 2011
Vengo anch'io!
martedì 1 marzo 2011
Ciò che succede
Piccole partenze, così definirei quelle verso luoghi già visti, dove il bello dell'ignoto, dell'aspettarsi qualcosa senza davvero conoscere posti e gente, viene in qualche modo meno, sostituito da una sorta di déja-vu senza troppe nostalgie, quasi metodico e banale. Se ci si va per un lavoro, poi, si sa già dal principio che non ci sarà tempo per fronzolare (neologismo, credo, che rende l'idea), ma ci si dovrà limitare all'essenziale: andare, negoziare macchinari, prezzi, cenare in qualche upmarket restaurant di poco carattere, senza vivere il viaggio. In fondo, però, va bene lo stesso, è una scusa per staccare un po' dalla pioggia, dal freddo, dal grigio incombente che non se ne va: il mese della primavera ci ha lasciato solo presagire il bello del sole e del cielo azzurro, e per ora non si decide a virare verso giorni più miti e leggeri. Chissà se l'Asia saprà darmi un po' di tropici umidi...E intanto stasera arrivano le Amiche, a festeggiare il compleanno di Sam con la sua seconda pancia, e io di nuovo mi sento un po' zia e un po' sorella, un po' compagna di baldorie e un po' convoglio di emozioni, così dev'essere credo, quando ci si conosce da così tanto tempo e con tale intensa profondità.
Ripenso alle facce della Gilda di sabato sera, allo sconforto di aver perso qualcuno, di nuovo, di così vicino, alle note campionate di De André e Capossela a far da tramite tra noi e ciò che fatichiamo a capire. Penso al distacco forzato, all'ironia di chi crede davvero che la morte abbia un significato, dopotutto, e mi vien da dire che sono dei poveri idioti, senza offesa...a parte il solenne insegnamento che nulla è eterno, che si deve imparare a vivere anche "senza" ciò che pareva scontato, non vedo altre magie nella biologica, ma spesso forzata, fine della vita.
L'ha detto anche Luca, nel suo discorso rotto ma fortissimo di sabato mattina: la vita è un sogno. Voleva dire, credo, che è bello esserci, ma che è qualcosa di irreale, di fragile, di metafisico. Il risveglio invece, tutt'altra cosa. "Il risveglio dal sogno/ forse uccide/ mai tradisce", dice una canzone.
Un piccolo cane, bianco e rosso, steso in mezzo alla strada, falciato da qualcuno che non ha ritenuto opportuno nemmeno fermarsi, che pareva dormire con le zampe sul muso, come un bambino. Come si fa a non piangere silenziosi? Non è solo mera analogia, è dolore vero e proprio per chiunque non volesse andarsene, non così, non per crudeltà e fretta.
Ci si rintana allora in ciò che di reale, tangibile esiste: nella presenza di parole, messaggi, in mille negoziazioni per comprendersi, nella lontananza che tale non sembra, in Cri vicino nonostante i chilometri, nel modo intenso in cui riesco a tenere i piedi per terra grazie a qualcuno che mi fa da zavorra, che semplicemente mi dice "succede". Lo so, hai ragione, succede. E' semplice, così banale, così vero: succede. So anche che mi proteggerai.
Ripenso alle facce della Gilda di sabato sera, allo sconforto di aver perso qualcuno, di nuovo, di così vicino, alle note campionate di De André e Capossela a far da tramite tra noi e ciò che fatichiamo a capire. Penso al distacco forzato, all'ironia di chi crede davvero che la morte abbia un significato, dopotutto, e mi vien da dire che sono dei poveri idioti, senza offesa...a parte il solenne insegnamento che nulla è eterno, che si deve imparare a vivere anche "senza" ciò che pareva scontato, non vedo altre magie nella biologica, ma spesso forzata, fine della vita.
L'ha detto anche Luca, nel suo discorso rotto ma fortissimo di sabato mattina: la vita è un sogno. Voleva dire, credo, che è bello esserci, ma che è qualcosa di irreale, di fragile, di metafisico. Il risveglio invece, tutt'altra cosa. "Il risveglio dal sogno/ forse uccide/ mai tradisce", dice una canzone.
Un piccolo cane, bianco e rosso, steso in mezzo alla strada, falciato da qualcuno che non ha ritenuto opportuno nemmeno fermarsi, che pareva dormire con le zampe sul muso, come un bambino. Come si fa a non piangere silenziosi? Non è solo mera analogia, è dolore vero e proprio per chiunque non volesse andarsene, non così, non per crudeltà e fretta.
Ci si rintana allora in ciò che di reale, tangibile esiste: nella presenza di parole, messaggi, in mille negoziazioni per comprendersi, nella lontananza che tale non sembra, in Cri vicino nonostante i chilometri, nel modo intenso in cui riesco a tenere i piedi per terra grazie a qualcuno che mi fa da zavorra, che semplicemente mi dice "succede". Lo so, hai ragione, succede. E' semplice, così banale, così vero: succede. So anche che mi proteggerai.
domenica 9 gennaio 2011
Indocina
Resta poco dell'antico colonialismo francese oltre ai fatiscenti e meravigliosi palazzi del quartiere vecchio di Hanoi, col suo brulicare intenso di sccoter, mercati, botteghe, un andirivieni di gente che si fa onda cinetica di suoni, odori e tinte ocra e rosse; dei cinesi invece si vedono tracce profonde nel cibo, nei volti, in antichi edifici restaurati o ricostruiti. La guerra, al contrario, ha lasciato solchi ben più chiari e recenti nell'anima e nel corpo della gente, povera ma sorridente, gentile, ostinata e caparbia come i suoi bufali d'acqua.
Un'Asia dimenticata, il Vietnam: si vedono ancora le risaie e i cappelli di paglia, le capanne di bambù, le onnipresenti barche di un popolo che vive sull'acqua lungo lo stisciare melmoso dei suoi fiumi caffelatte, tra i sacchetti di plastica di quest'era e gli aratri di legno di un'altra, qui ormai perduta: sarebbe come descrivere ciò che si vede in un caleidoscopio, a voler parlare di ciò che è oggi l'Indocina...una volta focalizzato il colore, si è già passati all'immagine successiva, senza aver tempo di trovare le parole per dire né una, né l'altra.
Un popolo giovanissimo, fatto di figli e non di padri, tenace e fresco, occupato in mille traffici quotidiani sotto l'occhio vigile e un po' pacchiano di mille Ho Chi Min per turisti.
Quindici giorni in viaggio, zaino in spalla, staccando completamente la testa e immergendo il cuore in un'altra vita, in un mondo lontano. Ed ora di nuovo nella nebbiosa Padania, umida e fredda, coi gatti che si abbracciano sul divano e un anno asimmetrico, 2011, che inizia senza neve.
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