Una mosca, e Micia che trilla e la rincorre speranzosa. Prima o poi la prenderà, sacrificando le preziose ore di sonno pomeridiano. Già me la vedo, stasera, con gli occhi a mezzaluna e il sonno di gatto piccolo, stanco, accaldato, coccoloso e col respiro sottile.
Mi accorgo di mancare dal blog, e mi ritovo come sempre, di domenica, a meditare sui cocci della giornata, che si ammonticchiano su quelli di tutte le altre. La solita domenica insomma, che passa tra sole, foglie e incombenze rimandate; la solita estate, un ricordo montaliano di un muro e dei suoi vetri, messi lì solo a ferire ignari e stupidi piccioni...come quelli che tubano e svolazzano qui di fronte, e che per fortuna disertano il mio terrazzo senza vasi né piante, con le ringhiere abbrustolite.
Ci sono tanti piccoli eventi, certo di scarso interesse per chi legge: un pranzo a Caprile alla fine di maggio, una gita con Cri in un Trentino verdissimo, tra cervi e ruscelli a manovella, l'inaspettato che giunge dalla vita degli altri, con nuovi bimbi in arrivo nel sole di agosto...e poi la quotidianità dei tanti impegni che costringono a concentrarsi senza sfarfallare altrove, i soliti orari assurdi che permettono di viver poco o nulla al di fuori della giornata di lavoro, la costante, perenne dieta contro il solito maledetto fungo. Quanto ho imparato in questi mesi: si pensa di essere, talvolta, tristi, perché qualcosa in noi non va, perché siamo fatti strani e mai contenti, e invece si scava un po' e salta fuori che un organismo alberga in noi e a tratti ci sovrasta, ci prende tutto, modifica il concetto che abbiamo di noi stessi amplificando e ingigantendo rovinosamente ogni più piccola paranoia. Già il fatto di saperlo, ora, mi permette di viverlo diversamente, di combattere con qualche arma in più, pur con lo stress crescente di un piccolo male che non passa, e che forse poi tanto piccolo non è...combattivi, certo, ma poi uno si guarda allo specchio e si vede invecchiato, ogni giorno un po' diverso, a volte sembra che ogni manciata di secondi che ci gettiamo alle spalle segni la sua piccola linea negli incavi di chi siamo, con quella assurda paura come di aver scordato una cosa importantissima, di essersi persi un punto saliente, di aver calcolato tempi e modi approssimativamente. Immagino che sia di tutti questa emozione, questo senso del tempo che passa, la paura di esserci troppo poco, per se stessi e per chi ci accompagna: non credo ci si possa far molto, a meno che non si inizi a sperare in una massiccia semplificazione dell'anima.
Venerdì volo a Belgrado, io e mia madre faccimao una cosa insieme dopo tanto tempo: una festa in puro stile balcanico, un matrimonio coi vetri rotti (ancora cocci) sul pavimento e le fisarmoniche, e alla fine di luglio dieci giorni di mare con Cri, tra calette e baie, a zonzo in auto tra i villaggi di Minorca. Serve staccare la spina, anche solo per poco. Collegarsi ad un'altra rete. Vivere, in un altro punto del globo, un altro minuscolo punto di vita, uno dei tanti, tantissimi possibili, a scontrarsi coi mille noi che li osservano.
domenica 19 giugno 2011
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