La parola scritta è un mezzo per comunicare di estrema profondità: scrivere significa mettersi a nudo senza passare per i filtri di sguardi e gestualità che possono confondere o deviare; essersi mentre ci si scrive rappresenta da sempre, per me, un analisi assoluta del sentire, un dialogo con l’Altro che si trasforma in un monologo con la propria interiorità profonda.
Confidare i pensieri alla fluidità dell’inchiostro o ai tasti docili di una tastiera…più facile che parlare, estremamente più reale: lo dimostrano certi dialoghi notturni a tenerci adrenalinicamente vigili, dove anche uno scherzo o un gioco fanno meraviglia, dove si vive una dimensione essenziale che poi ci accompagna nei pensieri "di giorno", ci è vicina con malcelata costanza, tra le pieghe e le pagine della testa, chissà come...e pensare che di solito "casco dal sonno", bukowskianamente, di fronte al gelo di serate gravide d'incontri di sorrisi forzati, quel silenzio che non si spacca nemmeno col martello d'emergenza, i visi tirati di chi vorrebbe altro senza saper che dire.
Oggi sento possente il senso di un viaggio che è cominciato molto tempo fa da qui, l’interno di me stessa, e che cerca la sua strada ora negli angoli remoti del mondo, sapendo forse che una via vera e propria non c’è, e che la ricerca racchiude come in un cerchio densissimo il suo stesso ultimo senso, ora tra le righe di un piccolo blog, di una conversazione telamtica, di un tranquillo assaggio di primavera in una domenica fresca, ma non più fredda da far tremare, finalmente.
Seduta in macchina, guardavo un po’ persa il mondo fuori che scorreva, a strati, a schegge, che smantellava lentamente la sua organicità, il suo essere reale, e si trasformava in colori e macchie “primarie” da vedersi una per una, scardinate come pezzi di un puzzle. A volte mi vien da credere che anche noi siamo così, che non possediamo una realtà propria, ma che siamo il frutto dei pensieri di chi ci osserva, un amalgama indefinito che unisce scorrevole mille prospettive, dubbi, possibilità.
asfalto
tamponato
di nebbia
d’acquerello
Foto: Thailandia, divinità protettrice e guardiana.
Confidare i pensieri alla fluidità dell’inchiostro o ai tasti docili di una tastiera…più facile che parlare, estremamente più reale: lo dimostrano certi dialoghi notturni a tenerci adrenalinicamente vigili, dove anche uno scherzo o un gioco fanno meraviglia, dove si vive una dimensione essenziale che poi ci accompagna nei pensieri "di giorno", ci è vicina con malcelata costanza, tra le pieghe e le pagine della testa, chissà come...e pensare che di solito "casco dal sonno", bukowskianamente, di fronte al gelo di serate gravide d'incontri di sorrisi forzati, quel silenzio che non si spacca nemmeno col martello d'emergenza, i visi tirati di chi vorrebbe altro senza saper che dire.
Oggi sento possente il senso di un viaggio che è cominciato molto tempo fa da qui, l’interno di me stessa, e che cerca la sua strada ora negli angoli remoti del mondo, sapendo forse che una via vera e propria non c’è, e che la ricerca racchiude come in un cerchio densissimo il suo stesso ultimo senso, ora tra le righe di un piccolo blog, di una conversazione telamtica, di un tranquillo assaggio di primavera in una domenica fresca, ma non più fredda da far tremare, finalmente.
Seduta in macchina, guardavo un po’ persa il mondo fuori che scorreva, a strati, a schegge, che smantellava lentamente la sua organicità, il suo essere reale, e si trasformava in colori e macchie “primarie” da vedersi una per una, scardinate come pezzi di un puzzle. A volte mi vien da credere che anche noi siamo così, che non possediamo una realtà propria, ma che siamo il frutto dei pensieri di chi ci osserva, un amalgama indefinito che unisce scorrevole mille prospettive, dubbi, possibilità.
asfalto
tamponato
di nebbia
d’acquerello
Foto: Thailandia, divinità protettrice e guardiana.